Note dal campo: l’impegno non si esige

Chi ha a che fare con bambini e ragazzi per lavoro sa che uno dei principali scogli è quello dell’impegno, o per meglio dire quello della motivazione all’impegno. Preferisco utilizzare il termine “impegno” perché quello di “motivazione” confonde un po’ le idee. Rischia infatti di abbinarsi al concetto di motivazione inteso come il voler fare un determinato sport ad un determinato livello. Qui sto parlando di qualcosa di diverso, e cioè della volontà di impegnarsi per raggiungere i risultati prefissati. È possibile infatti che alcuni ragazzi siano felici di dedicarsi ad uno sport ma non dimostrino poi all’atto pratico l’impegno necessario per apprenderne le basi o per ampliarle. Come fare dunque almeno a far riflettere i ragazzi sull’importanza dell’impegno come sopra descritto? 


Inizio col dare una brutta notizia a tutti quegli operatori sportivi che insegnano con metodi direttivi: l’impegno non si esige. Se lo si fa (e peggio ancora lo si ottiene) non è mai qualcosa che arriva da “dentro l’atleta” ma nasce a seguito di pericolose dinamiche relazionali quali quella atleta-istruttore (appunto), atleta-gruppo o atleta-famiglia, a volte mescolate in un'unica zuppa nefasta. Quindi quando si esige l’impegno la migliore cosa che possiamo ottenere è nessun risultato. In caso contrario pagheremo caro a lungo termine questo eventuale successo di Pirro.

Detto ciò, il punto è come stimolare la riflessione affinché le cose possano cambiare da dentro, e non attraverso meccanismi relazionali io sociali? A mio parere le strade (parallele) da percorrere sono due: una è quella riguardante la passione per lo sport e l’altra invece ha a che fare con il tema degli obiettivi. Partiamo con la seconda. Se abbiamo fissato degli obiettivi SMART (si veda l’articolo sul tema), tagliati sul ragazzo in questione, non solo farà più facile per lui focalizzarsi sul risultati e di conseguenza mettere più impegno nel suo percorso didattico, ma anche per l’istruttore sarà più facile operare perché potrà far leva su quell’obiettivo per tonificare la motivazione. In realtà può anche darsi, soprattutto per i ragazzini preadolescenti, che questi non abbiano ancora appreso la dinamica impegno-risultato (e quindi anche quella contraria del mancato impegno-non risultato). Se nei loro ambienti abituali questo meccanismo non è stato mai attuato, può darsi che i ragazzini fatichino a realizzare il fatto che nello sport se non ti applichi non puoi a lungo termine ottenere dei risultati. Per questo prima di pungolare i miei nuovi allievi focalizzandoli sul risultato ho sempre cercato di capire prima se il concetto dell’impegno-risultato gli fosse chiaro, e in caso contrario ho iniziato a proporgli compiti brevi seguiti da un piccolo premio, con la speranza di stimolare così una riflessione immediata e conseguentemente una veloce assimilazione del meccanismo in questione.

L’altra strada è quella della passione. Senza passione non c’è un sano impegno, perciò domandatevi: il mio atleta ama fare questo sport? Se la risposta è sì provate e capire quali aspetti del gioco lo attraggono, e modificate la proposta didattica per andare incontro alla sua passione, l’impegno la seguirà. Se invece la risposta è no il problema non è da poco, ma è certamente quello da affrontare per primo e con la creatività da mettere al primo posto. Sì, perché tutto ciò che può servire per farlo appassionare a quello sport va bene: film, visite, video, esercizi di tutti i generi. È una sfida non semplice, è vero, e soprattutto non codificata, ma è la più importante che vada affrontata se davvero si è educatori (prima che allenatori) sportivi.