Il tema dei feedback sportivi dei genitori, cioè quelle osservazioni/consigli/ordini che il genitore da al figlio in ambito sportivo, è da sempre uno di quelli più spinosi per chi lavora in ambito sportivo.
A scanso di equivoci mettiamo dei punti fermi. In primo luogo chi scrive è sempre stato dell’opinione che i genitori siano una risorsa eccezionale e imprescindibile per tutti coloro che lavorano con dei bambini o ragazzi. In secondo luogo sostengo che il feedback sportivo sia un’arma potentissima perché arriva al bambino/ragazzo da una fonte (solitamente) molto autorevole.
Detto questo, è conseguenza naturale che tali feedback non siano un problema in sé, ma che sia necessario gestirli e controllarli affinché siano utili anziché nocivi. Tutto comincia dal corretto rapporto che deve esserci fra addetti ai lavori e genitori. Bisogna considerare che il genitore spesso non conosce lo sport a cui si è avvicinato il ragazzo, ma ancor peggio a volte possiede una sorta di infarinatura di detto sport che lo convince di conoscerne i segreti. Per questo è importante un percorso di “avvicinamento” e di formazione che gli chiariscano le idee sullo sport in sé e sul ruolo (decisivo) che può avere sull'esperienza che vivrà l'allievo. Quando però la figura di semplice genitore si sdoppia in altri ruoli, ad esempio in quello di tecnico sportivo, le due figure rischiano di sovrapporsi con implicazioni difficili da gestire. Quante volte abbiamo sentito un genitore dare indicazioni tecniche o tattiche al figlio durante o subito dopo una gara? E quante volte accade dentro le mura di casa, senza che nessuno tranne i familiari lo venga a sapere? Questo aspetto, purtroppo molto diffuso, se non viene gestito con grande sensibilità da parte del genitore stesso può creare difficoltà. La prima, e la più importante, è quella di mettere in confusione il bambino che potrebbe non avere chiaro sotto quale veste il genitore stia dando quei feedback, se quella di suo/a padre/madre oppure quella di tecnico sportivo. In secondo luogo c'è poi la possibilità di conflitti con i tecnici veri e propri, in un circolo negativo che alimenta i problemi relazionali e disaffeziona il bambino nella sua esperienza sportiva.
Il genitore invece può fare molto di più, come dicevo prima può dare un apporto decisivo e non conflittuale. Come? Dando contributi che nessun’altro può dare. Innanzitutto quello di comunicatore privilegiato, visto che è presente vicino al bambino più di quanto possa fare un operatore sportivo. Può capire quali sono i suoi stati d’animo, aiutarlo a gestirli, può capire se lo sport sta dando al ragazzo quello che voleva oppure se bisogna cambiare qualcosa. E questo non c’entra niente con la tecnica o la tattica del gioco. In questo senso il rapporto fra genitore e tecnico è decisivo, perché la visione e le informazioni che può avere il primo possono dare la vera direzione ed efficacia al lavoro del secondo, mentre il secondo può agire perfettamente allineato all’interesse e alla volontà (oltre che dell'allievo) dei genitori. Ecco che allora il circolo diventa virtuoso. Il genitore può quindi entrare in maniera attiva nello sport del figlio senza creare conflitti né con il bambini stesso né con l’operatore sportivo, coinvolgendo il piccolo atleta a tutto tondo e magari aiutandolo ad appassionarsi all’avventura che ha intrapreso. Il tutto semplicemente collaborando e riconoscendo i ruoli di ogni parte coinvolta in questo processo.