Il “Modello prestativo” come potenziale omologatore dell’atleta

Modello: qualsiasi cosa fatta, o proposta, o assunta per servire come esemplare da riprodurre, da imitare, da tener presente per conformare ad esso altre cose.

Dizionario Treccani


Ho già abbastanza esperienza sul campo per aver visto passare tanti modelli “infallibili”, sia in campo tecnico che in campo fisico. In realtà il tema del modello è collegata a quella della metodologia didattica che si vuole utilizzare. Quando si lavora con delle persone (e gli sportivi, agonisti o meno, sono indiscutibilmente persone e bisognerebbe ricordarselo sempre) uno dei primi problemi che siamo costretti ad affrontare è quello di quale metodo adottare: gli estremi sono da una parte la valutazione totalmente indipendente di ogni soggetto, e conseguentemente un personale percorso per  ogni allievo, e dall’altra trovare un Santo Graal di modello prestativo che funga da perenne riferimento per tutti gli allievi e per il percorso di lavoro da strutturare. 

Ovviamente in mezzo ai due estremi ci sono delle ragionevoli vie di mezzo e in questo ambito, quello delle vie di mezzo, un buon modello prestativo relativo ad una disciplina sportiva non può che essere utile. Sapere infatti quali sono i meccanismi che possono rendere il nostro lavoro più efficace (in termini generali) rappresenta uno strumento di riferimento importante perché aiuta a definire meglio gli obiettivi e il lavoro, purché tuttavia si rimanga consapevoli che il cuore della nostra opera è una persona. È infatti su quella persona che dobbiamo tagliare il vestito perfetto, e sono le sue caratteristiche fisiche, tecniche, mentali e caratteriali che sono la nostra radice. Da lì si parte e non si può prescindere. Possiamo utilizzare tutti gli strumenti professionali possibili, ma senza dimenticare questa radice.


Il problema è che per molti operatori sportivi la sirena del “modello” come soluzione a ogni problema è difficile da ignorare.  Il “modello perfetto” infatti attrae per tre motivi: in primo luogo compensa eventuali punti deboli professionali, perché se non si sa come affrontare un problema è più facile affidarsi a un qualcosa di già pronto che studiare e trovare una soluzione “ad hoc” per quel caso specifico. In secondo luogo è più comodo, dal punto di vista delle energie e delle risorse a disposizione. Infine c’è una certa tendenza  in alcune persone all’ipertecnicismo, ovvero a cercare delle soluzioni logiche e matematiche a questioni che coinvolgono necessariamente un quadro di insieme più ampio, e materie di diverso genere, che vanno dalla biomeccanica alla psicologia. Ed allora via negli anni con file di atleti che hanno (senza volerlo) cercato di assomigliare a campioni del passato, a volte con esiti fisicamente anche tragici, oppure all'incalzare nelle scuole di sport di teorie scientifiche inapplicabili alla lettera, come vorrebbero i fanatici dei Supermodelli, a tutti gli allievi.

Comunque sia il mio umile invito, ciò che cerco di ricordare per primo a me stesso, rimane quello di non aspettare una soluzione, una formula scientifica che ci calcoli quanto il nostro atleta è vicino alla perfezione, ma di dedicarsi a ciò che è il bello di ogni mestiere che riguardi le persone, ovvero lo sforzarsi di trovare la strada di ogni atleta affinché esso stesso possa nel miglior modo possibile esprimersi.