Note dal campo: cosa fare quando ti accorgi di avere un bambino con disturbi comportamentali?

Quando fai sport, viene automatico partire dal presupposto di volerlo fare per tutti. E quando lo fai per i bambini, la tua offerta è diretta a tutti loro. In realtà, nel corso degli anni, come tutti gli operatori sportivi di  campo ho imparato che i bambini con cui avrai a che fare non si portano dietro soltanto le loro caratteristiche personali e le loro motivazioni. Non c’è solo quello sorridente o quello nervoso, quello sempre carico o quello che sembra sempre con la testa fra le nuvole. Ci sono anche quei bambini i cui comportamenti sembrano uscire dall’ambito statisticamente usuale. È qualcosa che all’inizio si coglie in maniera istintiva, poi con lo studio e l’esperienza tutto diventa più chiaro.


La prima cosa che in questi casi ho imparato a domandarmi è questa: il bambino soffre di un qualche disturbo comportamentale accertato oppure no? Nel corso del tempo la società ha cambiato fortemente l’approccio al tema, e con essa i genitori. Al giorno d’oggi si cerca di solito con tempestività di capire se il proprio figlio soffre di un qualche disturbo noto e di conseguenza “certificabile”.  Senza addentrarsi nello spinoso argomento dei singoli disturbi, e mantenendo il punto di vista del direttore di una scuola sportiva o di un istruttore, il pericolo sottinteso a questa domanda (sperimentato sulla mia pelle) è duplice: da un lato c’è infatti la possibilità che ci si comporti in maniera non adeguata con un bambino che invece necessiterebbe accorgimenti “personalizzati”, dall’altro lato il rischio è quello di comportarsi in maniera personalizzata in situazioni in cui in realtà non ce ne sarebbe bisogno. Ma c’è di più. Se il concetto di personalizzazione dovrebbe in realtà essere considerata la base del lavoro con i ragazzi, nei limiti di una buona organizzazione delle lezioni e sensibilità personale, ci sono casi dove una tale personalizzazione richiede una competenza del tutto particolare oppure un’attenzione troppo elevata per poter garantire la corretta attenzione anche agli altri allievi. C’è in definitiva un duplice pericolo: quello di non sapere chi hai fra le mani, e quello di non poterlo gestire in maniera professionale, e anche quando si può magari è possibile farlo solo al costo di penalizzare tutti gli altri allievi.

Come muoversi? I miei consigli sul tema sono due. Il primo è quello di richiedere al momento dell’iscrizione, al genitore o al tutore, la produzione di eventuali certificati relativi a disturbi comportamentali (ma il concetto vale in linea di principio anche per le malattie di tipo “fisico”) o al contrario una dichiarazione di assenza degli stessi. Che ci si creda o no, ci sono infatti molti genitori che per i più svariati motivi evitano di comunicare tali disturbi alla società sportiva, rischiando così non solo di mettere in difficoltà la società stessa, gli istruttori e gli altri allievi, ma soprattutto di danneggiare il bambino in questione. Richiedendo una tale dichiarazione una volta che a corso iniziato il disturbo non potrà più essere nascosto, sarà possibile affrontare la cosa mettendo il genitore di fronte alle proprie responsabilità e potendosi muovere nel pieno interesse del bambino.


Il secondo consiglio è quello di accertarsi attraverso uno specialista di quale siano le “personalizzazioni” specifiche legate a quel disturbo, e poi valutare con serenità se è possibile per la società sportiva (sia come competenze dei suoi operatori sia come risorse) attuarle senza che ciò risulti alla fine per essere un aggravio troppo grande in termini organizzativi-economici e/o penalizzare gli altri allievi. Meglio essere onesti e rinunciare a erogare un corso che non sarebbe un’esperienza positiva per nessuno, che trovarsi in una situazione difficile da sostenere nonché dannosa per tutti gli attori in gioco.

Si vorrebbe dare qualcosa di noi a tutti i nostri potenziali allievi, dunque, ma per poterlo fare dobbiamo capire chi abbiamo davanti, se siamo in grado di fare un lavoro utile, e accettare il fatto che ritirarsi è talvolta meglio che fare danni.