Parlare con se stessi, durante un match, è una tentazione (o addirittura un’attitudine) a cui molti non sanno resistere. Ed è un’attività che è comunemente considerata dannosa, e che riguarda e ha riguardato giocatori di circolo come grandi campioni. Uno di questi è stato notoriamente Boris Becker.
In effetti per chi ha bisogno di una concentrazione continua, e ha difficoltà a ritrovarla dopo un suo calo, può non essere il massimo. Tenete però conto che non esiste un modello adatto a tutti per concentrarsi. Anzi, tenere la propria concentrazione costantemente al massimo rappresenta uno sforzo dispendioso e inutile. Ideale sarebbe invece un grado di concentrazione alternato, che sfrutti la naturale successione di gioco e di pause proprio del tennis. Questo vuol dire alzare la concentrazione durante lo svolgimento dei giochi e abbassarla durante le pause (siano o meno con cambio di campo).
In questo contesto parlare a se stessi fra un punto e l’altro (e talvolta durante il punto!) può essere una cosa che comporta un calo di concentrazione quasi immediato, ma non solo. Oltre a questo, un pessimo self-talk porta anche a una perdita di fiducia in se stessi, cosa che incide ancor più pesantemente sulla prestazione dell’atleta. Cosa fare dunque?
L’ovvia risposta sarebbe non parlare con se stessi. Diverse tecniche si muovono su questa linea, tutte tese a far fare o a far pensare al giocatore qualcosa che impedisca di avviare il dialogo interno. La nostra testa non può pensare a due cose contemporaneamente, e allora se pensiamo a qualcosa, magari a far bene una semplice routine, non facciamo pensieri negativi e non sentiamo il bisogno di parlarne con noi stessi. Ma si può fare di più e con minore fatica, perché impedire il dialogo a chi c’è abituato (o portato) è tutt’altro che una passeggiata. Possiamo infatti utilizzare il meccanismo del self-talk a nostro favore. E se non ci impedissimo di parlare con noi stessi, ma semplicemente ci dicessimo cose positive invece che negative?
Provate a fare quest’esercizio: rispondete a queste tre domande. Ci vogliono cinque minuti. Mi raccomando, siate sinceri.
- Cosa pensate prima di iniziare un match?
- Cosa pensate durante la partita?
- Cosa pensate subito dopo una partita che avete perso?
Fatto? Adesso provate a rispondere a queste tre domande, altrettanto sinceramente (poi le domande sono finite…).
- Quali sono i vostri punti di forza tecnici? (mettete almeno tre singole qualità)
- Quali sono i vostri punti di forza caratteriali? (mettete almeno tre singole qualità)
- Cosa avete fatto bene durante l’ultima partita? (mettete almeno due aspetti tecnico-tattici)
Ecco, ora siete pronti.
Prendete le prime due risposte dell’ultima serie e sostituitele alle prime due della prima serie. Adesso sapete cosa ripetere a voi stessi prima di entrare in campo e durante il match. Certo, non è un dialogo raffinato, ma non avete bisogno di concetti troppo complessi o di convincere il vostro io più profondo, quello che vi propone le sue paure. Dovete solo sparargli contro le vostre “cose buone” quello che di buono avete, e farlo per quanto tempo ce n’è bisogno.
Provate! Prima della partita prendetevi un minuto e ripetetevi quello che sapete far bene. Poi scrivetevi su un foglio quali sono i vostri punti di forza caratteriali e portatelo con voi in campo. Ad ogni campo di campo leggetelo, e poi ditelo ancora ogni volta che volete (ad esempio fra un punto e l’altro). L’ultima risposta vi serve da esempio. Non dimenticate infatti di prendervi due minuti a fine partita (o qualche ora dopo, a mente fredda) per trovare le cose che avete fatto meglio in campo. Vi servirà come base di partenza per il match o l’allenamento successivo.
Dieci minuti per svolgere gli esercizi, un minuto prima della partita, due alla fine. E a fronte di questo pochissimo tempo speso vedrete i risultati sul vostro rendimento in campo.