Fare sport: quando l’espressione sociale fagocita tutto il resto

Fare sport dovrebbe riguardare principalmente noi stessi, o più genericamente colui che deve praticarlo. Non fraintendetemi, non voglio dire che abbia a che fare solo il nostro mondo interiore e individuale, perché lo sport ha anche a che fare (e molto) con gli altri. Aspetti quali la formazione di gruppi e comunità, o la semplice socializzazione sono aspetti cruciali del mondo-sport. Ma quando la pratica di uno sport diventa parte del posizionamento sociale di una persona o di un gruppo, allora quella parte interiore di cui dicevamo, quella legata alla passione, alla salute, ai valori personali dell’individuo ne risulta svilita, e rischia di perdersi dietro ad altri ragionamenti.


Ci sono persone che scelgono uno sport perché così il loro mondo sa che loro fanno quel determinato sport. I primi esempi che vengono in mente sono quelli legati a sport considerati “di alto livello sociale”, in contesti locali o semplicemente legati al cerchio delle conoscenze della persona in questione. Quante volte abbiamo sentito di qualcuno che ha deciso di praticare quello sport perché già lo facevano i suoi amici, oppure di un genitore che ha iscritto il figlio ad una data disciplina sportiva perché voleva dare una certa immagine di sé o della propria famiglia. Di solito sono quei genitori che comprano tutto ciò che non serve entro il primo mese e poi soffrono quando il bambino, superato quel mese, non ha più voglia di praticare quello sport. 

Il meccanismo però può essere anche contrario, ovvero quello di un genitore che decide di far praticare al figlio uno sport “popolare” (anziché magari quello che ha indicato il bambino) perché in passato lo aveva praticato anche lui/lei , o perché “ci vanno tutti”, dove per tutti si intende tutti i figli dei suoi amici. È un meccanismo quasi automatico, a cui può capitare di non fare nemmeno attenzione, ma così facendo ci si dimentica la regola aurea della pratica sportiva: se non si fa uno sport con passione, prima o poi da qualcosa di positivo diventerà fonte di sofferenza, quel disagio che nel migliore dei casi porterà all’abbandono di quella disciplina. 


Meglio partire da se stessi, dalle proprie esigenze, e poi valutare l’offerta presente nella vostra zona. Infine prendere in considerazione anche gli aspetti pratici come quelli logistici o quelli economici. Solo a quel punto, mettendo tutto questo sulla bilancia, sarà possibile prendere una decisione nel pieno interesse dell’unica persona che conta, cioè quella che ogni settimana dovrà poi fare attività fisica.